Birra piccola o birra grande? Ecco cosa ci insegna la tradizione
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La birra è l'unico prodotto alimentare ordinato più spesso in base al colore e alla dimensione che in base al nome. Probabilmente sarà capitato a tutti, magari distrattamente, di chiedere "una bionda minuta".
Per quanto strano possa sembrare, la possibilità di ordinare birre in diverse dimensioni non esiste ovunque. Al contrario, nei luoghi in cui la birra ha un legame profondo e duraturo con la cultura locale, la forma e la dimensione del bicchiere giocano spesso un ruolo fondamentale e hanno addirittura contribuito al successo di determinati stili di birra.
La pinta
Prendiamo ad esempio la pinta, uno dei bicchieri più conosciuti anche tra i non amanti della birra, nonché la forma più comunemente usata (spesso erroneamente) nei pub oggi, in particolare nella sua variante cosiddetta "americana".
La pinta è principalmente un'unità di misura utilizzata nel mondo anglosassone che corrisponde, a seconda che ci si trovi nel Regno Unito o negli Stati Uniti, a un ottavo di gallone imperiale (poco più di 568 millilitri nel nostro sistema di misura) oppure a un ottavo di gallone liquido statunitense (473 millilitri). La dimensione del contenitore per le birre inglesi fu definita per legge già nel 1698: per evitare che i proprietari dei pub ingannassero i propri clienti, il Parlamento inglese impose che tutte le birre fossero servite in un contenitore di dimensioni standard, la pinta.
La forma che oggi associamo alla pinta – un bicchiere a tronco di cono con la base più stretta dell'apertura e talvolta una protuberanza nella parte superiore – è tuttavia piuttosto recente.
La tazza
Fino alla fine del XIX secolo e poi nuovamente durante la prima metà del XX secolo, il contenitore più diffuso per bere la birra era il boccale con manico in peltro o ceramica.
Questa abitudine è testimoniata da un curioso saggio scritto da George Orwell nel 1946, La luna sott'acqua, in cui il celebre romanziere inglese elencava le caratteristiche che, a suo avviso, doveva avere un pub perfetto. Tra queste, menzionava di servire le stout in un boccale di peltro e di non servire mai le birre in bicchieri senza manico.
L'ascesa del bicchiere e della forma che oggi associamo alla pinta ebbe inizio nel XX secolo grazie a due grandi innovazioni: nuovi sistemi di filtrazione che resero le birre più accattivanti alla vista e nuovi sistemi di illuminazione dei pub che consentirono di "bere con gli occhi", un aspetto che sarebbe diventato un'ossessione per i bevitori britannici.
Il Nonik
L'invenzione della pinta con la curvatura, chiamata pinta nonica o nonik, risale al 1914. Sebbene oggi sia considerata tipicamente britannica, in realtà fu ideata da Hugo Pick della Albert Pick and Co. di Chicago.
Questa rinomata azienda del settore della ristorazione si era già fatta un nome realizzando una macchina per il caffè in grado di resistere agli urti e alle sollecitazioni del servizio continuo nei bar aperti giorno e notte.
Un'altra caratteristica fondamentale del nonik era la robustezza: la sua forma rigonfia consentiva ai proprietari dei pub di impilare i bicchieri senza che si rompessero quando li separavano, li rendeva più resistenti agli urti e garantiva una presa migliore ai clienti. Per tutti questi motivi, come ha spiegato acutamente lo storico Martyn Cornell, nel 1948 il designer britannico Alexander Hardie Williamson si ispirò al nonik per progettare un nuovo bicchiere da birra per l'azienda inglese Ravenhead Glass, decretando così il successo di questo bicchiere ormai iconico.
La mezza pinta
Accanto alla pinta, c'è la mezza pinta che, nei suoi territori d'origine, serve tradizionalmente per segnalare al barista che si sta ordinando l'ultimo drink prima di andare via.
La forma e la dimensione della pinta sono probabilmente così popolari perché si adattano bene alle caratteristiche delle birre che più comunemente contengono. Il suo collo largo aiuta a disperdere rapidamente alcune delle note aromatiche indesiderate talvolta presenti nelle tradizionali birre inglesi, come le note sulfuree. Per quanto riguarda la sua capienza, è perfetta per le birre che non subiscono un leggero aumento di temperatura se lasciate nel bicchiere o in mano per un certo tempo.
Lo Stange e il Weizenbock
La temperatura e la necessità di mantenere la birra fresca sono gli elementi chiave del bicchiere utilizzato per la Kölsch, la birra ad alta fermentazione tipica di Colonia, in Germania. In questo caso il bicchiere è un piccolo cilindro da 20 cl che può essere svuotato in pochi sorsi.
Rimanendo in Germania, un altro bicchiere importante è il Weizenbock, utilizzato per le birre di frumento. Oltre alle sue dimensioni, che le permettono di contenere un'intera bottiglia – caratteristica essenziale per queste birre, che richiedono di versare il lievito depositato sul fondo – la Weizenbock presenta una doppia curvatura che, a ogni sorso, crea un leggero vortice nella parte inferiore del bicchiere, ravvivando la schiuma fino all'ultima goccia, elemento essenziale per questa tipologia di birra.
Il TeKu
Tra i bicchieri da degustazione più iconici, il TeKu è diventato famoso per la sua capacità di mettere in risalto ogni sfumatura aromatica della birra. Creato nel 2006 da Teo Musso, fondatore del birrificio Baladin, e dal celebre degustatore Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, questo bicchiere è stato studiato per esaltare i profumi e i sapori di tutte le birre artigianali.
La sua forma elegante e funzionale, realizzata dall'azienda Rastal, è diventata un punto di riferimento non solo in Italia, ma anche a livello internazionale, riscuotendo l'apprezzamento di molti rinomati birrifici artigianali. Disponibile in diverse versioni, come il TeKu 3.0 e il Mini TeKu, questo bicchiere incarna la perfetta fusione tra design e funzionalità, trasformando ogni degustazione in un'esperienza sensoriale unica.